Se inghiotti la Pillola Rossa offerta dall’azienda di biotecnologie Genom Corporation, succedono due cose. La prima è che ti basterà stringere la mano alle persone per avere accesso a una nuova gamma di piaceri fisici straordinariamente intensi. La seconda è che la Genom Corporation sarà in grado di utilizzare la capacità del tuo corpo di processare informazioni per custodire, inviare ed elaborare dati. Vedrai diffondersi in tutta la società nuove abitudini di contatto, e vedrai nuovi meccanismi di controllo diffondersi a macchia d’olio nei corpi delle persone. Oh, a proposito: una volta che avrai assunto la Pillola Rossa la Genom potrà accampare dei diritti sul tuo corpo.
Questo è lo scenario che si prefigura in una serie di opere che fungono da motore per il film di fantascienza virale e di alt-realtà UKI di Shu Lea.
Questo film è uno straordinario tour de force che immagina un mondo governato da enormi multinazionali, in cui creature saprofaghe vivono in immense discariche di rifiuti elettronici, in cui cyborg e android si aggirano tranquilli nella vita quotidiana di cittadini qualunque, fino al giorno tragico in cui vengono ritenuti obsoleti. A questo immaginario cyberpunk si aggiunge un approccio queer verso il piacere sessuale e i meccanismi che stabiliscono chi o cosa va considerato umano o prezioso. Ovviamente, nel film niente è immobile, niente va secondo i piani e la resistenza impara ad assumere forme nuove. Non c’è un finale hollywoodiano in cui viene ristabilita la giustizia e i buoni vincono a mani basse. E la storia ci illustra le diverse maniere in cui tecnologia, piacere e potere sono sempre intrecciati, a volte in modo inatteso. Inoltre, UKI mescola attori e attrici che recitano dal vivo, paesaggi generati al computer e appropriazioni di immagini ricavate dalla storia dell’arte, come i paesaggi urbani di Edward Hopper o il “terzo braccio” robotico di Stelarc, per generare un ricco intertesto sull’arte e l’intensificarsi della percezione a cui l’arte stessa tende.
L’installazione Red Pill è composta da due elementi. Abbiamo tre pillole giganti stampate in 3D (lunghe un metro ciascuna) che contengono una replica in 3D di cellule ematiche. Poi un video pubblicitario realizzato dalla Genom, che ha alterato il DNA delle cellule per adattare i corpi delle persone alla loro piattaforma. La pubblicità presenta il sistema come affidabile, divertente e utile, ma in un certo senso è anche profondamente inquietante. È composta da immagini computerizzate. Nella prima, due mani stilizzate si stringono mentre in sottofondo sentiamo il suono anni Novanta di una “stretta di mano hardware” tra modem. Le mani si separano e verso l’alto scorrono particelle di dati di colore blu. Mentre il suono della prima fase della stretta di mano cambia trasformandosi nel rumore bianco di due computer che comunicano, l’immagine diventa il flusso di un torrente di cellule ematiche in circolazione, su cui vortica un diagramma chimico. Tre cellule ematiche si aprono, un fiotto di cellule viene proiettato verso il pubblico e ricade nelle due metà di una capsula che poi si chiude ermeticamente. Sotto l’immagine di una pillola piena di cellule brulicanti si legge: “Red Pill by Genom. Your Pleasure Our Business”.
Il motivo delle pillole compare declinato in maniere diverse in vari punti del lavoro di Cheang. Nel progetto di net art Brandon (1998-1999), capsule di mille colori sono associate a un’edonistica fuga dalla classificazionesessuale, ma hanno tinte così brillanti e semplici da invitare alla cautela. In 3x3x6, poliedrica installazione presente alla Biennale di Venezia del 2019, le pillole sono grottesche ed esuberanti, coperte di simboli che esaltano la libertà politica e sessuale. La pillola rossa ci porta di nuovo in un’altra direzione.
L’arte ha sempre descritto il mondo che ci circonda come uno strumento per riflettere su ciò che accade dentro di noi, in termini di emozioni, percezioni ed esperienza. Con Red Pill, Shu Lea Cheang ci invita anche a riflettere su quello che possiamo immaginare di ingerire come modo di pensare al mondo circostante. Cosa inghiottiamo quando accettiamo il mondo così com’è?