Si potrebbe dire che i confini sono particolarmente presenti nella vita e nell’opera di Gianni Pettena. Mai però come limitazione, piuttosto nel senso di un atteggiamento aperto e curioso che fa lavorare e muovere Pettena in maniera sovrana, al di là di ogni possibile attribuzione e restrizione. Non solo i confini geografici, anche le categorie delle opere o le discipline non rappresentano per l’artista un confine prestabilito. Cofondatore di “Architettura Radicale”, ha cominciato a concepire in modo nuovo l’architettura secondo categorie avanguardistiche e utopiche, parallelamente a Superstudio, Archizoom o Ufo in Italia oppure a Hans Hollein, Walter Pichler e altri in Austria. Pur avendo studiato Architettura e avendo insegnato appunto Architettura per molti anni, i suoi lavori e progetti sono principalmente di natura artistica: installazioni, disegni, fotografie e performance.
Interpellato sul significato dei confini nella sua opera, Gianni Pettena ha recentemente affermato in una conversazione: “La nostra generazione era probabilmente la prima che non aveva subito traumi della Seconda guerra mondiale, è una generazione che non aveva ferite da curare, che poteva guardare in avanti. E per la prima volta poteva desiderare tutto, desiderare di comunicare i propri pensieri senza confini disciplinari e senza confini geografici.” ↓1
Nato a Bolzano nel 1940, Gianni Pettena è andato negli Stati Uniti subito dopo gli studi di Architettura a Firenze. Dapprima artist-in-residence al College of Art and Design di Minneapolis, è stato poi guest-lecturer all’University of Utah a Salt Lake City nel 1972-1973. In questi anni si è occupato della Land Art e dell’arte concettuale americane, ha coltivato l’amicizia di artisti come Robert Smithson, Gordon Matta Clark e altri. Sempre in questo periodo sono nate alcune delle sue opere più importanti come, per esempio, i lavori della cosiddetta Salt Lake Trilogy. La trilogia è costituita da tre performance, Clay House, Tumbleweed Catcher e Red Line, realizzate nel 1972 insieme ai suoi studenti e studentesse.
Per Red Line l’artista ha ispezionato da un camioncino i confini del comune di Salt Lake City nel febbraio/marzo 1972 e ha tracciato una linea sulla strada spruzzando del colore rosso. In questo modo ha evidenziato i confini di Salt Lake City per una lunghezza di più di 45 km rendendoli visibili e sperimentabili. Pettena ricalca il confine tra spazio urbano e natura, segue la linea sulla quale l’architettura cede il passo al paesaggio e si dissolve nella natura. In Red Line ripercorre così le tracce umane (costruite) nella natura, rende visibili contraddizioni e bellezze dello spazio urbano e indaga il rapporto tra città e natura, tra ambiente costruito e paesaggio naturale.
Nella sua pratica artistica Gianni Pettena segue ancor oggi questa linea fra architettura e natura: una linea che, in maniera inconfondibile, a volte collega, a volte separa, a volte è visibile, a volte si sottrae allo sguardo.
Percorrere, seguire e ridisegnare i confini costituisce un’opportunità per ripensare la nostra percezione, per definire la nostra posizione e, non ultimo, per pensare oltre i confini. Un’impresa simile è stata intrapresa vent’anni fa in Alto Adige: in un’escursione circolare durata 41 giorni nel 1991 Reinhold Messner e Hans Kammerlander hanno percorso nel modo più esatto possibile il tracciato dei confini dell’Alto Adige per stimolare la riflessione sul passato, il presente e il futuro di questa provincia. Scrive in merito l’artista Hannes Egger: “Se i due protagonisti non fossero stati alpinisti, ma artisti, l’azione ‘Rund um Südtirol’ sarebbe stata una performance.” ↓2
Anche oggi – in un momento caratterizzato da linee rosse e zone rosse, nel quale acquisiamo una nuova consapevolezza dei confini delle regioni, dei paesi, perfino delle nostre case, forse nel percorrerli e seguirli possiamo cambiare le prospettive abituali, ripensare le nostre posizioni.