Diario di bordo.
3 ottobre 2020
in questo momento sono le 19.23
sono passate varie ore da quando sono sceso dall’auto camaleonte guidata da Christian.
Sto cercando di elaborare un pensiero che possa racchiudere l’esperienza.
Proprio questa ricerca mi blocca.
Mi tiene a terra come un cucciolo di gabbiano.
Gabbiano, non a caso questo uccello.
La peculiarità del gabbiano è sicuramente il suo essere un grande viaggiatore.
Alcune specie volano per chilometri e chilometri solo per cercare un posto dove deporre.
Da piccolo guardavo spesso questi uccelli chiedendomi da dove venissero.
Quale viaggio avessero già percorso e quale ancora li aspettava.
Ecco.
Il viaggio.
Il tutto alla fine si racchiude in questa parola.
Viaggio.
Questa mattina sono salito su un’auto.
Un’auto colorata.
Un artista per pilota, due passeggeri e un co-pilota.
Io.
Guardo l’auto.
Piccola.
Molto piccola.
Ci stiamo tutti, e sorpresa, sono comodo.
I sedili in pelle mi accolgono immediatamente.
Mi viene in mente che mio padre guidava un’Alfa Romeo 75. Nera. Sedili in pelle.
Gabbia mortale nelle calde estati bolzanine e peggio in quelle veneziane.
Mio padre amava la sua auto. Un amore tutto suo, difficile da spiegare.
L’auto era come una sua creatura viva.
La spia della riserva era arancione.
Sempre accesa.
“Con me alla guida non si spegnerà mai.”
Le strade di Bolzano scorrevano veloci davanti al finestrino dell’auto.
Le luci arancioni illuminavano le strade che ora sto percorrendo lentamente sull’auto di Christian.
“In città va a trenta e in autostrada a ottanta.”
Christian viaggia per il mondo e in ogni città l’auto cambia colori.
Ecco perché camaleonte.
Attraversiamo la città e intorno a me vedo le solite strade che conosco e percorro da una vita, quasi in automatismo.
Ma la guardo e sento il bisogno di far vedere cosa vedo io.
La mia città e quella di mio padre.
Una città di viaggiatori, di disperati, di patiti del calcio, di trapiantati, di stranieri, di autoctoni, di ladri di biciclette, di birre dannatamente buone, di piatti tirolesi, di case immense, di case piccole, di campetti, di piste da roller, di parchi, di ponti, di traffico sotto la pioggia e deserto sotto il sole, di un’eterna domenica fatta di pasta al sugo, calcio, Formula 1, pianti e urla.
La città che voglio raccontare si srotola davanti a noi e fatico a starle dietro.
Per qualche motivo continuo a pensare a mio padre e a come ho sempre pensato di non sopportare questa città.
Christian la trova interessante.
Certo.
Eppure le montagne ci chiudono dentro.
Oppure ci difendono?
Ci fermiamo.
Cambio passeggeri.
Cambio mondo, cambio di strada, cambio di tempi, di battute, di domande.
Non conosci il Rosengarten?
Ogni buon bolzanino conosce la storia di Re Laurino.
È una storia che ci raccontano fin da piccoli.
Racconto e Christian guida.
“Bella storia.”
Quando scendiamo dall’auto mi sembra che sia finito tutto troppo presto.
Saluto.
Prometto una buona birra.
Ogni buon bolzanino promette una buona birra.
Torno alla mia auto.
Riattraverso la città e alcune strade sono le stesse.
Ma qualcosa sembra cambiato.
Proprio come dopo un viaggio.
Lucas Joaquin Da Tos Villalba (Esperanza, Argentina, 1993) si è diplomato come Operatore dello Spettacolo specializzato in illuminotecnica teatrale e come attore all’Accademia Teatrale Veneta, Venezia. Si interessa al teatro di narrazione e drammaturgia e al linguaggio dello storytelling. Collabora con il Teatro Stabile di Bolzano e con il Teatro Cristallo. Nel 2020, in pieno lockdown, ha fondato insieme ad altri attori e attrici del territorio la compagnia teatrale Controtempo Teatro. Ha un cane di nome Paco, perché è pacato (chi lo conosce sa che è vero), trovato un giorno su una spiaggia di Catania.
Movimento, limiti e confini